I come infanzia
Oggi vi condurrò nelle più remote strade del calcio giocato sul serio.
Capodanno 1971: mio cugino Paolo aveva 4 anni e mi disse: «Io sono Boninsegna e tu sei il Cagliari». Non conoscendo tutti i nomi dei giocatori, mi diede il nome di una squadra che all’epoca andava per la maggiore… Eravamo in corridoio e avevamo una palla, tanto bastò per cominciare la partita.
Dopo molti anni mio nipote David, più meno alla stessa età e sempre in corridoio, mi chiese: «Zio, saresti in grado di giocare a calcio con me? Io sono Baggio, tu sei sempre Zico?». E prese vita un altro match.
Qualsiasi luogo, di qualsiasi forma e con qualsiasi terreno, poteva diventare teatro di una sfida. E qualsiasi bambino poteva impersonare il proprio idolo di quel momento. Ogni posto aveva ovviamente le sue regole, le sue discussioni e il suo ‘nemico’. Di solito un inquilino cattivo che possedeva tre metodi per cacciarti via: secchio d’acqua, rincorsa con scopa in mano o il peggiore di tutti, minaccia di bucarti il pallone.
Cortile in zona stadio, Bellandi e Luca erano fermi sul 9-9. Bellandi scagliò un tiro forte e preciso ma il portiere parò alla grande. Poi però accadde l’incredibile: il pallone deviato colpì un ferro appuntito e, sgonfiandosi, l’aria ne deviò la traiettoria e lo fece finire in rete (altro non era che una serranda). Dopo varie discussioni, e senza VAR, il gol fu convalidato.
Il portone (era chiamato così l’atrio di ogni palazzo) di via Ferrarese 209/3, invece, racconta ancora di una partita undici contro undici in pochi metri. Si giocò con una pallina da tennis e, dopo due buchette della posta sfasciate e il vetro del portone crepato, si scappò via inseguiti da un inquilino arrabbiato. Sembra che la squadra di Sgubri stesse vincendo ma, dopo varie discussioni e un forte temporale, la gara venne ripetuta nel cortile dell’elettrauto.
Molti impersonavano giocatori reali. I più grandi erano spesso Beppe Savoldi, e durante il gioco facevano anche la telecronaca. Io ero quasi sempre Stefano Chiodi, poi maturando sono diventato Zico.
Uno dei luoghi più incredibili era il piazzale davanti a casa, soprattutto perché si giocava a porta unica contro l’immancabile serranda. Talvolta, se si era davvero in pochi, si usava come bersaglio quell’oggetto di ferro del quale non ricordo il nome, ma solo che stava davanti a certi portoni e serviva a togliersi il fango dalle scarpe. Spesso erano addirittura sfide uno contro uno e, manco a dirlo, si utilizzava una palla da tennis.
E siccome l’arbitro ‘fa campo’, come si dice in gergo… Un giorno il tiro di un mio amico colpì un gatto in un cortile di via Vittorio Veneto: la deviazione generò un gol… che fu omologato.
Il calcio vero era questo, «tutto il resto è noia».
Roberto Porrelli
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Foto: bolognafc.it